Marco Cordero si relaziona in modo fisico e materico al testo scritto che scava e incide rivelandone la forma intrinseca. I libri, infranti nell’atto creativo, sono idolatrati in quanto oggetto estetico, storico-culturale e divino. L’artista – come il poeta Petrarca che nell’ascesa al monte Ventoso narra di aver aperto in un punto a caso le Confessioni di sant’Agostino e di aver compreso “la futilità delle cose umane” – si lascia accompagnare dalla sorte nell’individuazione di frasi o parole massime.
Nato a Roccavione (Cuneo), Cordero manifesta il suo intimo legame con queste terre, dagli orizzonti alti e frastagliati e dalle forti tradizioni occitane, delineando spesso paesaggi montuosi, irti e solenni. Difficile dire se sono i luoghi a plasmare la lingua o viceversa, ma nella perpetua disputa quotidiana è più importante penetrare e perdersi nella ricerca. Dalla parola scritta al paesaggio una miriade di sollecitazioni paiono legarsi vicendevolmente inseguendo, con equilibrata saggezza o con impeto guerresco, la ricerca della pura concettualità della materia.
Nel suo lavoro la corporeità, ovvero la materia di cui sono fatte le opere, è parte della speculazione concettuale stessa. Con una corrispondenza ancestrale Marco Cordero indaga poi materiali diversi, quali marmo, legno, metalli e perché no materiali organici come la mela, nell’utopico proposito di arrivare al pensiero.